Stefano Ziffler

III assegnazione

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    Stefano Ziffler
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    L'aria era fresca, l'atmosfera vivace e Stefano era ad un passo dal vomitarsi sulle scarpe.
    Le assegnazioni, da sempre, lo rendevano nervoso. O meglio, il fatto di essere vivo lo rendeva nervoso, ma essere vivo e sotto gli occhi di tutti era particolarmente ripugnante, specie perché in questo caso non si trattava di mostrare le sue mirabolanti doti magiche e intellettive, ma fissare una inanimatissima Bilancia col suo destino tra i piatti. L'unica rassicurazione era data dalle sue precedenti assegnazioni, che si erano sempre ben concluse - essendo finito per due volte di seguito ad Ariafina, la classe che sentiva a sé più vicina, dato che i libri di testo erano diventati praticamente un'estensione di se stesso e la cosa più vicina che aveva ad un impulso sessuale. Terrabruna era bellissima perché era la classe in cui Ebanio era stato per ben tre volte di fila, però non la sentiva come la sua vocazione - nel senso che era bravo, okay, ma nel costruire era lento come lo scivolare di una lumaca, dato che impiegava tre ore anche solo a controllare che una gemma fosse sufficientemente lucida, cosa che era deleteria per la sua sanità mentale e per quella del suo dormitorio. Il problema di Fortefuoco, invece, era che ci stavano i suoi bulli preferiti (preferiti nel senso di: quelli che avrebbe preferito vedere morti), e se fosse capitato là, poco ma sicuro, sarebbe andato stoicamente ad affogarsi da solo in un wc dei bagni del primo piano. Non per nulla, giusto per accellerare la fine che comunque sarebbe avvenuta, o decidere di che morte morire.
    « Ziffler, Stefano. »
    Stefano alzò lo sguardo e strabuzzò gli occhi, rendendosi conto che era (come al solito) l'ultimo della fila, l'ultimo ad essere chiamato e che EBANIO AVEVA PRONUNCIATO IL SUO NOME E ANCHE IL SUO COGNOME (cosa che aveva senso, essendo il Preside a presiedere lo smistamento). Arrossì come una vergine dal ginecologo, muovendo qualche passo in avanti e cercando disperatamente di trovare qualcosa di brillante da dire al Preside, qualcosa che lo avrebbe fatto splendere negli annali della storia nei secoli dei secoli, così che Ebanio acconsentisse ad essere il suo amico di penna, così avrebbero potuto iniziare a scambiarsi motti di spirito e poesie. Sapeva che Ebanio avrebbe capito tutto ciò che c'era da capire. Sentiva di poterglielo leggere nella sua barba.
    « Buongiorno, signor Preside. » disse, chinando leggermente il capo come un perfetto scolaretto, posando bacchetta su un piatto, spilla su un altro, mostrando sul suo viso la serietà di chi è pronto ad andare in guerra al primo aggrottar di sopracciglia. Poi, la sua maschera da cartellone pubblicitario sulla gioventù ebraica si distrusse.
    Buongiorno. Aveva detto buongiorno.
    Peccato fosse pomeriggio. Gli. Smistamenti. Del. Sesto. Anno. Si. Tenevano. Il. Pomeriggio.
    Non era possibile. Aveva detto buongiorno quando era buon pomeriggio, quando era il cazzo di buon pomeriggio, erano le tre, come aveva potuto dire buongiorno? Come aveva fatto a sbagliare? C'era da essere dei ritardati. Adesso Ebanio avrebbe pensato che era un ritardato perché aveva detto buongiorno. Bravo, Ziffler, complimenti, chiaro che ti nominerà Sorvegliante dopo questa. Come era potuto succedere? Fuori dalle finestre c'era il sole, il caldo, c'era il cinguettar degli uccellini, era così chiaro che fosse pomeriggio, stupido idiota!
    Iniziò a torturarsi le dita. Aveva detto buongiorno. Sicuramente Ebanio era deluso. Lo aveva deluso. Povero preside Ebanio, lui, che riponeva così tante speranze negli studenti, deluso da Ziffler, che si considerava da solo la colonna portante dell'intera scuola (senza che nessuno concordasse con lui) (chissà perché). Voleva morire. Aveva detto buongiorno, buongiorno, com'era possibile? Era inaccettabile! Era sconvolto da se stesso.
    E fu così che l'assegnazione, troppo impegnato a darsi da solo del deficiente, finì per passare in secondo piano.
    Ariafina - VIII schedaagenda
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    Edited by marcie. - 9/4/2016, 22:34
     
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    L'ultimo. Era l'ultimo. Non mancava più nessuno. Ebanio, dal di fuori, appariva la solita, composta stele di granito, impossibile da scalfire, con il viso scolpito da uno scultore che non conosceva il significato delle parole "sentimenti" o "espressività". Dentro, l'idea di potersi a breve ritirare nel suo ufficio, aprire la bottiglia di Limoncello appositamente conservata per le giornate peggiori, accendere la pipa (non fumava, ma talvolta gli piaceva accendere una pipa) e fissare con apatia per un paio d'ore la sezione di Economia Magica del Terzo Occhio, ecco, quella prospettiva lo metteva in uno stato che sarebbe possibile antropomorfizzare in un ballerino di samba al carnevale di Rio che, nel mezzo di una piroetta, venisse improvvisamente investito dalla luce Divina e si genuflettesse preparandosi all'ascensione ultraterrena. Se anche Ebanio si era mai, nell'arco dela sua vita, trovato in uno stato di euforia, comunque non c'era chi potesse testimoniarlo, e se pure a qualcuno fosse per un istante venuta in mente la possibilità, gli sarebbe bastato alzare gli occhi su quello sguardo incastrato tra gli occhialini e la linea dritta delle sopracciglie cespugliose per decidere di smettere una volta per tutte di drogarsi e iniziare a questionare le proprie scelte di vita. Tutto questo per dire che un intero pomeriggio (più un'intera mattinata) a ripetere a intervalli di due minuti "Ariafina, Terrabruna, Fortefuoco, Ariafina" di fronte ad una massa informe di bovini egocentrici decisi a farne una questione personale, avrebbe distrutto una mente più debole della sua, e in effetti il fatto che Ebanio fosse pronto a schiantare mollemente chiunque si fosse messo tra lui e il suo limoncello non avrebbe dovuto soprendere nessuno. Era così concentrato nel contenere l'aspettativa, convinto che altrimenti la Bilancia avrebbe fatto durare quell'utlima Assegnazione minimo un quarto d'ora, che nemmeno si accorse di aver pronunciato l'ultimo nome con un tono che somigliava ad un accordo in LA suonato con un pianoforte con il triplo dei suoi anni e la metà della sua voglia di vivere - il che era incredibile.
    Il ragazzotto alto e nervoso che si avvicinò aveva un'aria famigliare, come se Ebanio se lo fosse dovuto ricordare per qualche motivo, ma non aveva idea di quale. Quello parlò e lui ovviamente non ascoltò, intento a domandarsi se Camillino si fosse ricordato di mettergli in caldo le pantofole, mentre le scintille colorate della Bilancia in assestamento si specchiavano sui suoi occhiali come un gaio spettacolo di fuochi d'artificio. Fu un responso estremamente breve, e quando la spilla si stabilizzò la parte sinistra della cavità toracica di Ebanio diede un timido segno di vita.
    « Ariafina »
    Sillabò, con - quasi - uno sprazzo di colore nella voce. L'eco non fece in tempo a dispedersi che già metà degli studenti si dava ad una frenetica ritirata, mentre l'altra metà vociava concitata. Ebanio a malapena attese che lo studente avesse ripreso ciò che gli spettava, prima di radunare i pochi oggetti presenti con rapidissimi colpi di bacchetta, scrollarsi appena della polvere invisibile dalla giacca, girare i tacchi e marciare via, con un passo che non poteva dirsi frettoloso solo per mere motivazioni metriche. Finalmente.
    Of course I have feelings. Boredom is a feeling.
     
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    Stefano si stava ancora torturando le mani, con lo sguardo fisso davanti al nulla davanti a sé, quando la voce del Preside Ebanio lo riscosse.
    Ariafina.
    Abbassò lo sguardo, mettendo a fuoco la spilla sulla bilancia, mutata nuovamente nella forma che più era abituato a vedere - l'ala dai colori azzurro argento. Troppo impegnato com'era stato a darsi dell'idiota, si era praticamente perso tutta la tensione che, da sempre, accompagnavano l'evento dell'assegnazione. Anche perché il responso era stato molto breve.
    A pensarci, era prevedibile. Non c'era classe più adatta a lui di Ariafina (anche se soffriva di vertigini) e l'unica possibilità poteva essere la diceria sui destinati ad Oltreacqua, che più di altri cambiavano classe, diceria che senz'altro non poteva riferirsi a lui - dato che a Divinazione sarebbe stata più brava una patata. Cosa che andava benissimo, essendo Divinazione una materia ridicola, e non essendo da lui abbassarsi a queste ridicole cialtronaggini.
    Poi, la sua indole abitudinaria trovava estremamente rassicurante sapere di poter concludere il suo percorso sempre nello stesso dormitorio. E questa era cosa buona e giusta.
    Alzò lo sguardo, cercando quello di Ebanio. Gli era parso di sentire un qualche tipo di colore nella voce granitica del Preside - forse era felice del risultato dell'assegnazione? Eppure, non sarebbe dovuto essere più felice se fosse finito a Terrabruna? Certo, comunque, quella differenza tonale rappresentava la prova del fatto che Ebanio lo considerava sicuramente come un membro importante della istituzione scolastica, e Stefano avrebbe voluto rassicurarlo che era proprio così.
    Intorno a sé però nella Sala gli studenti si muovevano e vociavano come se fosse praticabile l'anarchia, e certo Stefano non poteva stare tre ore immobile a fissare bilancia e Preside - che, per'altro, stava facendo per andarsene, e Stefano voleva tutto fuorché essergli d'intralcio. Si mosse in avanti con la grazia di un pupazzetto di legno, recuperò le sue cose, appuntando la spilla al petto e riponendo la bacchetta nel taschino, e fu a quel punto che la vide: una preziosissima piuma d'oca che scivolava dalla borsa del Preside, per poi posarsi a terra. Tutto intorno a Stefano stavano i rumori del muoversi degli studenti, ma a lui l'ambiente pareva silenzioso, concentrato com'era sull'oggetto.
    Fece qualche passo, chinandosi a raccoglierla. Era una piuma lunga e aggraziata, dal colore candido come la neve, e sicuramente dalla scrivibilità fluida - per Ebanio solo il meglio. La soppesò tra le dita, meditando se non fosse il caso di rubarla e poi conservarla sotto il cuscino, come un cimelio - quante possibilità c'erano di essere scoperto? E quante possibilità c'erano che gli capitasse un'altra situazione simile, la possibilità di avere qualcosa che fosse appartenuta proprio a lui, proprio ad Ebanio? Aveva già da tempo, inoltre, in mente di regalare al caro Preside una penna - per ringraziarlo formalmente di tutto ciò che faceva per loro studenti anche solo esistendo - e, avendo quella tra le dita, poteva studiarla in modo tale da individuare quella più corretta e preferita da donargli. Certo, sarebbe stata una penna della Ziffler'n'magic, quindi ingioiellata a puntino (ne avevano un paio con smeraldi che erano proprio una chicca), e forse avrebbe potuto ordinare la raffigurazione dello stemma di Terrabruna e di Ariafina che si intrecciavano tra loro, sull'impugnatura, così da rendere il dono ancora più personale, e...
    Il Preside se n'era andato.
    Stefano rimase interdetto, la piuma ancora stretta tra le dita, riscuotendosi come se fosse stato drogato. No che non poteva rubarla! Sarebbe stata una tale mancanza di rispetto!
    Iniziò a camminare velocemente (essendo vietato correre per i corridoi) verso la direzione in cui il Preside era sparito, chiamandolo in un « Signor Preside! » decisamente allarmato, neanche avesse dovuto informarlo di un invasione di Troll nei bagni del primo piano.
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