Quel che non sai non può farti male

20.11.2013, pomeriggio

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    Ortica Vassalli
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    Era sera. Faceva freddo. Ortica aveva cenato con della zuppa di farro molto gustosa, squisitamente preparata con ingredienti sopraffini, morbida, vellutata e burrosa, che a lei era parsa come una collosa brodaglia condita di chiodi. Ogni tanto gettava un'occhiata ad un tavolino centrale, da cui provenivano risate, schiamazzi, gioia di vivere e un dubbio senso del vivere civile, e pian piano si incupiva fino a sembrare uno di quei gargoyle sulle guglie delle cattedrali gotiche, grigia e calcarizzata dalle piogge. Non era una notte buia o tempestosa: era una piacevole serata novembrina, frizzante e limpida, di quelle che avrebbero ispirato un astrologo alla scoperta di un nuovo minuscolo asteroide che influenzava l'orbita della trentesima luna di Giove, o qualcosa del genere. Ortica aveva l'aspetto di qualcuno che aveva tentato di affogarsi nella nebbia milanese e ci era riuscito. I capelli le pendevano come alghe nere ai lati del volto, gli occhi erano più infossati del solito, la linea della bocca avrebbe potuto tagliare a metà una roccia particolarmente sensibile, e la rigidità dei suoi movimenti suggeriva cinque o sei giorni di post mortem.
    Ortica aveva un problema, e stava accucciata all'entrata del salotto di Ariafina come un malvivente dietro un bidone maleodorante in un vicolo. Se avesse brandito un coltello a serramanico probabilmente nessuno si sarebbe sorpreso, ma era la bacchetta quella che stringeva convulsamente nella tasca destra. Ogni tanto si ricordava che la postura era il primo segno della levatura sociale di una persona (o così diceva sua mamma) e così drizzava di scatto la schiena come un pupazzo a molla sparato fuori da una scatola, per poi riprendere lentamente la posizione originale col passare dei minuti.
    Iago era in ritardo. Non che sapesse di essere in ritardo. Non che avessero un appuntamento. Non che fossero amici. Non che si parlassero così spesso. Nondimeno, era in ritardo, e il ritardo non era né nobile né educato. Imbecille cretino.
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    Nessuno potrebbe veramente negare come la natura sia un ottimo antistress. Il verde delle foglie, il profumo di terra, quella sottile sensazione di essere tutti collegati da una grande energia benevola che dà la vita ad un fiore quando a te, quanto ad un cane, quanto al tuo familio, quanto a quel professore maledetto che ha deciso di darti una S. A lui la natura poteva anche fare a meno di fornire energia benevola. Anzi, che gli mandasse un fulmine in testa piuttosto.
    Iago Malaspina era nel giardino sospeso del dormitorio di Ariafina e non sarebbe servito un genio per capire che non era affatto rilassato dal tripudio vegetale, che se gesticolava nervoso era perchè si stava lagnando del professor Taddei.
    Altre due studenti erano inclusi nel circolo del rancore e annuivano dicendo di tanto in tanto qualche blanda cattiveria sull'ingiusto insegnante, che sicuramente aveva sbagliato a non dare un E a tutti, che sicuramente non poteva avere ragione, perchè loro erano studenti e gli studenti hanno sempre ragione quando si lamentano dei professori.
    Fare il contrario sarebbe stato un alto tradimento nei confronti del codice silente che unisce il corpo studentesco.
    «E poi pozioni è una materia scema, che mi serve farle quando si possono comprare» il picco di intelligenza uscì dalla bocca di Iago, che probabilmente avrebbe detto "E poi non studiare pozioni solo perchè le puoi comprare è proprio una cosa scema" se avesse preso una O nel compito in classe.
    L'argomento si estinse in breve, lasciano il gruppo con un misto di giramento di palle per essersi ricordati di come Taddei desse voti influenzato dal meteo o da chissà cos'altro e un certo sollievo per essersi sfogati.
    Iago aveva intenzione di andarsene in stanza, non fosse che scendendo le scale e raggiungendo il salotto notò una figura fosca e desaturata di fianco all'entrata.
    «Ma che stai facendo» fu il saluto scorbutico che rivolse a Ortica con una smorfia e il tono acido che era l'apostrofo verde tra le parole 'Iago' e 'cordialità' «Sembri un Avvincino in agguato».


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    Edited by horror vacui. - 31/7/2017, 19:17
     
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    Forse Ortica si sarebbe unita volentieri al circoletto di cui sopra, lamentandosi di come i suoi titanici sforzi nello studio fossero sempre premiati con risultati scadenti per colpa dell'odioso docente, ma la sua personalità spinosa era troppo orgogliosa e facile al senso di colpa, quindi all'ennesima S rispondeva con un viso pallido e profonde occhiaie che parlavano di notti insonni tese nella lettura di enormi tomi sulla radice di mandragola. Lamentarsi di un brutto voto equivaleva ad ammettere la resa nella sua personale battaglia all'eccellenza, il che era buffo, considerato quanto poco le importasse andar bene nelle materie in cui le riusciva facile. Brutta cosa, l'adolescenza.
    Il pupazzo a molla scattò per l'ennesima volta quando gli venne rivolta la parola, e fosse stato un fumetto la sua schiena si sarebbe drizzata con un comico "snap!".
    « Non è vero » reagì prima ancora di sentire esattamente cosa avesse da dire, colta alla sprovvista dal fatto che si aspettasse di vederlo entrare dalla porta dei dormitori o dalle scale, non certo dal giardino « Sei tu che mi sei arrivato alle spalle »
    Argomentazione inoppugnabile, non fosse stato per il fatto che lo stava effettivamente aspettando, che lui non lo sapeva, e che stava rivolgendo le regali natiche all'unica entrata e uscita per il giardino. Si ricordò di tutto questo in sequenza, e la sua bocca si contorse in una smorfia pallida.


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    Lo scatto di Ortica si riflesse in qualche modo anche in Iago, che non sembrava aspettarselo, facendogli ritrarre il collo come una tartaruga.
    Quindi lo ricacciò fuori, pendendo verso Ortica per recitargli davanti alla faccia un'arguta risposta che ricalcava volontariamente l'intonazione della frase altrui: «Sei tu che mi davi le spalle».
    Tornò dritto, prendendosi un momento per constatare come l'aspetto dell'altra fosse particolarmente smunto e stressato.
    Ma poteva cerco Iago dimostrare tanta gentilezza d'animo da chiederle se andasse tutto bene o se volesse prendersi un tazza di tè su quei comodi divanetti?
    Certo che no, non avrebbe rischiato che qualcuna delle piantagione di muschio che gli parassitavano la personalità si seccasse irrimediabilmente.
    «Beh?» la imbeccò come attendesse ancora la risposta alla domanda precedente, che a quanto pare non era stata retorica. Per lo meno ora stava usando un tono normale: «Stai aspettando qualcuno?».
    Non che fossero fatti suoi, ma già che c'era tanto valeva chiederlo.
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    « Non ha senso » lo rimbrottò, offesa come se Iago avesse trucidato di propria mano l'intera logica dell'universo. Per un momento pensò che l'avrebbe mandata in luoghi innominabili e si sarebbe rintanato di gran carriera nei dormitori maschili, che Ortica immaginava come posti oscuri e ricoperti di lanugine verdastra, tipo le tane dei vermicoli d'acqua - o almeno quello di Iago. L'idea comunque le fece salire il panico per la spina dorsale tanto che in un movimento repentino estrasse la bacchetta e gliela puntò contro. Non che l'avesse fatto apposta, era un gesto spontaneo, del tipo "ehy amico, aspetta un secondo!", anche se associato alla sua espressione stralunata sembrava più un "ehy compare, sgancia la grana!". Questo mentre lui, al massimo delle sue capacità relazionali, le chiedeva se stesse aspettando qualcuno. Ma a quel punto dire "sì, te" sarebbe sembrata una dichiarazione di guerra, e magari lui le avrebbe lanciato una maledizione e le avrebbe fatto cadere il naso, il che era orribile, perché ultimamente Ortica credeva di star diventando un po' miope, e poi come li avrebbe retti su gli occhiali?
    «No. Io -» annaspò, sventolando un po' la bacchetta in verticale, ventilando di usare come scusa un improvviso prurito alla schiena e iniziare ad usarla per grattarsi stile primate. « Incantesimi » belò rabbiosamente «Mica mi aiuti con uno?»



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    Siccome Iago era un grande umorista nonchè tremendamente permaloso ventilò per qualche secondo l'idea di risponderle 'la tua faccia non ha senso', ma il modo repentino in cui l'altra estrasse la bacchetta gli fece solo compiere un'altra smorfia.
    Stavolta sorpresa, la testa di nuovo ingobbita nelle spalle.
    L'espressione permase quando l'altra tramutò il gesto in uno sventolio casuale, generando tuttavia in una contrazione genericamente bellicosa della faccia che poteva ben rappresentare pensieri sul genere 'come osi puntarmi contro la bacchetta'.
    La curva increspata delle labbra divenne statica ed infine sfumò quando Ortica spiegò che voleva chiedergli aiuto per un incantesimo. Solo le sopracciglia rimasero rannuvolate, ottimamente abbinate alle sue occhiaie perenni, perchè erano ben più abituate a quella posizione che ad una serena distensione.
    C'è da dire che Iago si sentì vagamente lusingato dalla cosa, perchè certamente era un ottimo studente ed era perfettamente sensato che la povera Ortica volesse attingere alla pozza del suo talento verso Incantesimi. Mica come suo fratello che sarebbe riuscito a farsi bocciare anche in 'Teoria dell'idiozia' o 'Difesa contro lo sviluppo mentale'.
    Fu quello a far comparire una certa boria soddisfatta sul suo viso, un sorriso che s'allungava ad un angolo della bocca.
    «Chiaro» rispose tronfio, motivando quindi tanta prontezza nel giungere in suo soccorso «Gli incantesimi del Quinto sono una cavolata».
    Mica era lui quello che aveva appena preso un S in pozioni.
    Si diresse quindi su uno dei divanetti del salotto, sedendosi e aspettando che Ortica prendesse posto.
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    A dirla tutta Ortica si aspettava uno schiantesimo, o direttamente un pugno sul naso, o, dalla faccia del compagno, una denuncia per aggressione. Quello che non si aspettava era che la sua patetica scusa facesse centro, ma vedere l'orribile smorfia compiaciuta sul viso di Malaspina piccolo la indusse a riconsiderare l'idea dell'aggressione. Magari uno schiantesimo solo, insomma, chi se la sarebbe presa? Nessuno. Figuriamoci.
    Si masticò forte l'interno della guancia guardandolo con uno sguardo così cupo che ci si sarebbe aspettato scatenasse dei tuoni nel salotto, ma poi lo seguì, sedendosi dall'altra parte del divano col culo pizzo e la schiena tesa come se le avessero infilato un manico di scopa chiodato su per il retto.
    « Certo » sentì quasi fisicamente l'orgoglio che le strisciava giù dalla gola come un grosso rospo viscido « Ho... un problema... col... volante ascenderai» sputò infine, cercando un incantesimo che non la facesse sembrare una totale deficiente, e quello era a metà del programma. Introdurre il tema centrale del discorso si faceva sempre più spinoso.


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    Il divanetto su cui presero posto era fortunatamente libero, lasciandogli abbastanza spazio per sedersi comodamente.
    D'altra parte Iago non sapeva quanto esattamente Ortica fosse in difficoltà con l'incantesimo, quindi meglio non rischiare di far levitare una scacchiera per vederla precipitare in testa a qualche sventurato di fianco a loro.
    Estrasse la bacchetta, sedendosi come al solito con le spalle un po' gobbe.
    «Eh?» aggrottò le sopracciglia come se l'altra avesse appena farfugliato versi e sillabe senza senso alcuno «Per forza che non ci riesci.».
    A questo punto sorrise e a dirla tutta fu un sorriso un po' infame, ma d'altra parte che non è che ci si potesse aspettare molto altro dalla sua faccia: «E' volate ascenderai».
    Non si aspettava che il problema fosse basilare: nonostante non l'avrebbe mai ammesso aveva una certa stima per l'altra dal punto di vista scolastico. Nel senso, per lo meno non la considerava una completa imbecille come tanti altri.
    «Dì un po', non è che passi troppo tempo con mio fratello?» rise, come se anche solo l'ipotesi fosse così ridicola da renderla una battuta davvero esilarante. Perchè mai Ortica avebbe dovuto voler passare del tempo con quella capra di Damiano, ah ah ah?
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    Se a Ortica fosse stato possibile trasformarsi nel Kelpie in quel momento lo avrebbe fatto, e in effetti la sua anima somigliava in modo preoccupante ad una pozza lacustre piena di alghe e denti affilati. Aveva scelto di proposito un incantesimo a cui non erano ancora arrivati col programma per evitare di fare una figura da doxy, ma l'aveva detto male. Si irrigidì sul divano in un modo che avrebbe fatto sospettare un petrificus totalus, ispirando lentamente dalle narici, le pupille larghe come spilli. Se Iago avesse fatto un movimento brusco probabilmente l'avrebbe accoppato con la lampada lì di fianco per poi strisciare via contorcendosi e gemendo, o almeno questo era il suo piano. La correzione le vece arcuare le labbra in un sorrisetto spasmodico e vagamente maniacale, mentre quando nominò il fratello ogni brandello della sua sanità mentale se ne volò allegramente fuori dalla finestra.
    «Che c'entra tuo fratello?» domandò, con un picco di isteria nella voce (ma almeno era scongiurata l'ipotesi dell'ictus), per poi rattrappirsi contro la spalliera «Stiamo parlando di incantesimi, mica di tuo fratello. Non vedo cosa c'entri. Non voglio mica sprecare il mio tempo parlando di certa gente. Ho di meglio da fare.»
    Il suo blaterare diventava sempre più scontroso di frase in frase, condito da delle occhiate saettanti che vagavano in modo vagamente paranoide tra i pochi studenti della sala, sfidandoli a dire il contrario.


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    Ortica gli rispose con lo slancio di un cobra a cui hanno sollevato il coperchio del cesto, per poi rintanarcisi (ossia incartapecorirsi contro lo schienale). Iago di flauti per incantarla non ne aveva nessuno, perciò si limitò a sentirsi ugualmente inviperito.
    «Beh, che ne so» sentenziò, guardandola come se gli avesse appena fatto un torto «Non mi stupirebbe se parlandoci ti fossi rimbecillita di colpo».
    Perchè si sa che l'idiozia di Damiano è così grave da risultare contagiosa, o non si spiegherebbe perchè un diversificato numero di studentesse sembrassero ai suoi occhi un branco di decerebrate ogni qualvolta ci interagissero.
    Anche perchè cogliendo pezzi di discorso s'era sentito devastato dalla levatura intellettuale del tutto che poteva eguagliare solo una delle cronache preferite di suo fratello, ossia la volta in cui per una scommessa aveva provato a infilarsi un pezzo di bezoar nel naso ed era finito in infermeria.
    In realtà dal fuori chiunque altro avrebbe potuto notare solo un gruppetto di ragazzi ridere allegramente, ma va beh. Iago e la sua visione del mondo, ovviamente priva di pregiudizio e spocchia.
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    La palude nella mente di Ortica ribollì e qualcosa svanì al suo interno con un sonoro PLOP. Perché erano arrivati al punto del discorso così in fretta. Com'era successo. Nel momento del panico, il suo primo istinto era fuggire via lontanissimo, anche se il suo obbiettivo le splendeva di fronte come avvolto di un magico allure.
    «Io non ci parlo» mentì di una menzogna così palese che le si leggeva lampeggiante sulla punta del naso. Ci aveva parlato ieri, quando le aveva raccontato di quella volta che aveva rubato le mutande di Taddei e le aveva messe nella scrivania di Adami, e il giorno prima, quando si era vantato di come aveva colpito un bolide talmente forte da rompere la finestra dell'ufficio di Gutterman (questa probabilmente falsa, visto che era ancora vivo). Però quel giorno non si era vantato proprio di nulla. Con lei almeno.
    «Ci parlano... altre persone» la verità le ribolliva negli occhi come pece liquida «persone stupide. Per niente interessanti»



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    Iago dedicò un lunga occhiata ad Ortica mentre parlava, densa di sospetto.
    L'altra era spesso genericamente scorbutica e a disagio, ma la vena paranoica di Iago di tanto in tanto poteva tornare utile.
    «Infatti» assentì prontamente, perchè nonostante la reazione agitata quello che aveva detto era sacrosanto.
    Se era sospettoso comunque non era tanto per come tirare in ballo Damiano avesse tarantolato l'altra, quanto per il fatto che stesse dicendo una baggianata.
    «E comunque è venuto a chiedermi una cosa» continuò, imbastendo un tono fastidiosamente misterioso «Su di te».
    Fece una pausa, guardandola con la compiacenza di chi ha appena smascherato una bugia ma ne è anche vagamente offeso.
    «Quindi lo so che parlate» il tono uscì indispettito, tanto che non sarebbe stato sbagliato parafrasare con un 'gnegnegne'.
    Era sicuro che Ortica con Damiano non volesse averci niente a che fare perchè, insomma, l'avete visto Damiano? Ortica era decisamente più intellegente e matura. Cioè, non che pensasse questo di lei. Cioè, forse. Ogni tanto.
    Va beh, il punto non era quello. Il punto era che le palle gli davano fastidio. Gnegnegne.
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    Se l'anatomia umana avesse consentito alle teste di esplodere spontaneamente, il salotto di Ariafina sarebbe stato gradevolmente addobbato con festoni di sangue e cervella spiaccicate. Ortica diventò cinerea, poi, dal collo quasi verdognolo, iniziarono a risalire delle chiazze color mattone che facevano presagire una patologia mortale.
    Ovviamente era una bugia, non c'era dubbio, perché Iago era cattivo e malefico e tutto ciò che diceva erano menzogne belle e buone, perché ovviamente l'oggetto della loro discussione non aveva nessun interesse nell'indagare sul conto di Ortica, perché avrebbe dovuto averne? Non era certo una cosa possibile, giusto?
    «Bugiardo» sfiatò in un pigolio asmatico, fissando Iago con occhi così sgranati da rischiare di cadere, il solito cipiglio dimenticato in favore della sorpresa, lo sgomento e, allo sguardo di un osservatore accorto, una piccola fiammella di speranza.
    Che naturalmente venne immediatamente ingoiata in un gorgo oscuro di sospetto e paranoia, perché cioè, magari Damiano aveva chiesto di lei per conto del cugino, magari aveva saputo qualcosa di orrido e imbarazzante e cercava conferma, magari aveva chiesto qualcosa tipo "Ehy, bro, mica hai un rimedio contro l'ortica che mi sono punto?", o qualcosa del genere.
    «A chi interessa del tuo stupido fratello. È grosso e scemo.» qualcosa la punse dolorosamente da qualche parte nella cassa toracica, qualcosa che somigliava parecchio al senso di colpa.

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    Quando l'altra lo accusa di essere un bugiardo le sopracciglia di Iago si sollevano in un'espressione detestabile di spocchia.
    «Senti chi parla» ribatte caustico, perchè mica è lui quello che dice bugie e poi si agita facendosi venire chiazze sul collo perchè viene sgamato.
    Infatti è a quello che abbina la reazione di Ortica: lungi da lui prendere in considerazione altre ipotesi.
    E poi Ortica non è che sia in generale il ritratto del relax e della serenità esistenziale, quindi non risulta neanche così atipica quell'espressione che ha in faccia o la risposta acida che formula.
    Che Damiano sia stupido e scemo è un'evidenza che sottolineare è quanto di più sensato possibile.
    «Lo è davvero» concorda soddisfatto, un retrogusto acido nella voce «Allora non ti sei rimbecillita».
    Scherza, lanciandole un'occhiata: «Non del tutto, almeno» e si chiude appena nella spalle.
    Non sia mai che dica qualcosa si carino.
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